Bevande senza alcol, albori di una nuova frontiera Non solo birre a basso tasso: il mercato che avanza
Non solo alcol. Ci sono prodotti che nascono come alternativa alle bevande alcoliche classiche e che hanno gradazione bassao nulla.
Areté -azienda italiana specializzata nella valutazione di politiche per il settore agroalimentare, ha da poco condotto per la Commissione
Ue uno studio, ora pubblico, su questo mercato delle bevande
«low/no alcohol».
Dalla più diffusa birra analcolica, al vino dealcolizzato, alle alternative
che imitano gin e whiskey: il mercato mondiale è in evoluzione. Trapela che negli ultimi anni è aumentata in molti Paesi del mondo l’offerta di bevande senza alcol o con ridotto tenore alcolico, vendute e pubblicizzate come in grado di replicare l’esperienza di consumo di birra, vino e superalcolici, per chi non può o non vuole bere la versione alcolica «classica». Il mercato delle birre analcoliche o a bassa gradazione – va riconosciuto – è già piuttosto consolidato nella maggior parte degli Stati Ue, ma quello degli altri prodotti «low/no alcohol» è solo agli inizi del suo sviluppo. Un mercato abbastanza consistente, tanto che Areté ha stimato per l’Ue in circa 2,5 miliardi di litri e 7,5 miliardi di euro, in gran parte coperto dalla birra.
La parte «vino» si attesta a 322 milioni di euro e quella degli alcoli – distillati e liquori senza alcol – a circa 168 milioni di euro. Tra i paesi Ue che trainano il mercato vi sono Francia, Spagna, Germania e Belgio (in totale, 84% del mercato Ue per i superalcolici e 91% del mercato Ue dei vini aromatizzati «low/no»), mentre fuori dall’Ue mercati vivaci sono soprattutto quello australiano e quello Usa, con un valore stimato rispettivamente di circa due miliardi e un miliardo di euro ciascuno.
Se la birra è di gran lunga il prodotto più venduto, in alcuni paesi sta avanzando anche il consumo di vini dealcolizzati e versioni a gradazione ridotta dei distillati più diffusi. Ciò è vero, ad esempio, in Francia – dove il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un valore di mercato stimato a 166 milioni di euro- e nel Regno Unito, primo mercato per le alternative «low/no alcohol» ai superalcolici, con vendite per 98 milioni di euro. In valore assoluto questo segmento rappresenta ancora una nicchia di mercato, in genere
contribuendo a meno dell’1% del rispettivo mercato di riferimento ma è notevole la crescita rilevata negli ultimi anni per questa tipologia di prodotti (+18% CAGR a valore 2019-2021 per distillati e liquori «low/no»), in un quadro di generale stabilizzazione o riduzione dei consumi di bevande alcoliche. In Italia il mercato delle alternative ««low/no alcohol» sta muovendo i primi passi e pare
meno sviluppato rispetto ad altri Paesi, in cui è già piuttosto comune trovare vini dealcolizzati o alternative analcoliche al gin tra gli scaffali dei supermercati.
Lo studio Areté stima in circa 8 milioni di euro il mercato italiano delle bevande «low/no» alternative ai superalcolici nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato
francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al Vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro.
Se la cava un pò meglio il vino (parzialmente) dealcolizzato, con un
mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, nettamente in
rincorsa rispetto a Francia (166 milioni) e Germania (69 milioni). I dati
Euromonitor International analizzati da Areté per lo studio fanno però intravedere previsioni di forte crescita nei prossimi anni (+23% di tasso di crescita medio annuo 2021-2026 per i superalcolici «low/no»), in linea con le aspettative di molti operatori, che vedono in questo mercato un grande potenziale per raggiungere nuove categorie di consumatori (si pensi ad esempio a chi non beve alcolici per motivi religiosi) ed allinearsi a trend di consumo ormai consolidati (quali la preferenza per prodotti più salutari).
Spazio nello studio anche all’esperienza e alle aspettative dei consumatori, raccolte grazie ad una indagine ad hoc effettuata
su oltre 5.500 rispondenti in 15 paesi Ue. Mentre la birra analcolica
o a bassa gradazione è ormai familiare alla maggior parte dei
consumatori, nei confronti delle versioni «low/no alcohol» di altri
alcolici quali il vino o i distillati, lo scetticismo era prevalente fino a
poco tempo fa, anche a causa della bassa qualità percepita di queste
bevande. Questa iniziale diffidenza pare però aver stimolato gli
investimenti da parte dei produttori verso un miglioramento della
qualità organolettica tramite lo sviluppo di nuove tecniche produttive dirette ad aumentare la somiglianza di queste bevande alle controparti alcoliche.
Di conseguenza, il 59% dei consumatori dell’UE dichiara attualmente
un atteggiamento generalmente positivo, di curiosità, nei confronti di
queste bevande in quasi tutti i principali mercati europei, mentre solo il 6% ha riferito una reazione negativa. Insieme ai benefici per la salute (ai primi posti per il 31% dei rispondenti), la qualità del prodotto è considerato l’aspetto più importante, nonché il principale obiettivo degli investimenti e della ricerca dei produttori.