Profondo Rossobastardo
Luciano Cesarini visto da Roberto Sansoni
Da ingegnere a produttore, conosciuto col nome di una sua etichetta: “Sagrantino? Disciplinare anni Ottanta”
Luciano Cesarini, cantina Signae, per tutti Rossobastardo; il nome di un suo vino che nasce nel cuore della terra del Sagrantino.
L’ingegnere che ha lasciato tutto per fare il produttore, è più conosciuto all’estero che da noi, ma fa spallucce.
– Come ha pensato, intanto, questa etichetta, Rossobastardo?
Sono nato a Bastardo (comune di Giano dell’Umbria ndr) quando eravamo meno di 100 abitanti; ho orgogliosamente ostentato il nome del
mio paese che per me resta il più bello del mondo.Quando costruii la Cantina, i consiglieri del marketing mi “impedirono” di chiamarla
Bastardo. Ho obbedito, ma volli chiamarci il mio primo vino Igt; Rossobastardo, oggi, è un brand internazionale.
– I suoi vini cercano rotondità, morbidezza, anche in un vitigno come il Sagrantino che è il più duro al mondo. Una forzatura a scapito del territorio?
L’Umbria è l’esempio della morbidezza delle sue colline e delle sue coltivazioni. Noi umbri, arrivati in Italia prima del X sec a.C, siamo
l’esempio di accoglienza, umiltà e lavoro. D’altro canto il Sagrantino è il vitigno con la maggior quantità di polifenoli, antociani e zuccheri tra
tutti i vitigni conosciuti. Se vogliamo parlare di forzatura, credo sia legittimo riflettere se il territorio, gli umbri e quest’uva straordinaria
non stiano subendo la forzatura di un disciplinare scritto da “stranieri” con la cultura degli anni Ottanta che il mercato “pagante” consuma
per una quantità inferiore al 20% dell’uva prodotta dai vigneti del territorio.
– In questo senso cosa pensa dei disciplinari Doc e Docg in genere: la tradizione è al passo con le esigenze dei fruitori contemporanei?
Le Doc e le Docg mortificano la ricerca e la fantasia di chi coltiva uva
e produce vino. Sono regole burocratiche obsolete che servono solo
per mantenere in piedi carrozzoni di controllo che si sovrappongono e confliggono a danno del prodotto e con gravissimi soprusi su chi
lavora per le vigne, la qualità e il mercato. Le responsabilità sono chiare e conosciute “ma – dicono – non puoi farci niente”. Non è vero, chi tace è complice ed invito a potare in mezzo alla neve e al gelo di febbraio ed anche a scacchiare le viti a luglio con 40 gradi.
Lei, la sua famiglia, la sua cantina, sono più conosciuti all’estero che in Umbria. Cosa prova?
Parlo per me senza coinvolgere la mia famiglia che ormai da anni sta facendo un percorso indipendente ma di straordinaria diversità. Per
quanto mi riguarda so che gli innovatori vengono perseguitati ed infangati dal sistema, ma resto convinto che nel mercato globale il consumatore sceglie i migliori prodotti attraverso le riviste scientifiche e non tra le chiacchiere dei bar di provincia.
– Il prodotto Sagrantino che futuro ha? Come lo immagina?
Se parliamo di Sagrantino come vitigno autoctono con la maggior quantità di polifenoli, antociani e zuccheri tra tutti i vitigni conosciuti al mondo credo che sarà una coltivazione trainante nello sviluppo
economico, occupazionale e turistico del territorio.
Il problema che con queste regole viene imbottigliato meno di un quinto del vino sul quale è consentito scrivere legalmente Sagrantino.
Gli altri quattro quinti della produzione dei vigneti insediati che fine fanno? Qualcuno se ne sarà accorto? Perché nella legge si trovano
altri criteri. Come mai gli interessi di una sparuta minoranza impediscono a questo patrimonio dell’umanità di essere ricchezza diffusa?
Siamo sicuri che tutti stanno facendo il loro lavoro? Il mio sogno è vedere il vitigno Sagrantino protagonista dello sviluppo per trainare ogni attività del territorio verso occupazione, ricchezza, successo e conoscenza diffusa.
– E il futuro del suo territorio?
La gente di Bastardo e dintorni è stata capace di lavorare al freddo d’inverno e al caldo d’estate diventando un esempio nel rispetto del creato, dell’ambiente e della storia millenaria. Le coltivazioni dei
girasoli, degli oliveti e dei vigneti si integrano ai 15 castelli integri e vissuti in un paesaggio mozzafiato, colorato ed incontaminato. Il mondo sta imparando a conoscerci, ci gratifica e ci frequenta per
questa nostra capacità di salvaguardare, e per l’umiltà di accogliere e lavorare. Ogni giorno incontro visitatori stranieri affascinati da questi
nostri valori. Non ne ho mai conosciuto uno interessato a disciplinari e regolamenti.
-Che ricetta suggerisce per il mondo del vino in genere?
Credo sia ora di riflettere che ogni vite produce oltre tre chilogrammi di prodotti edibili; il viticoltore può ricavarne solo una bottiglia di vino e deve smaltirne onerosamente oltre due chili di scarti e rifiuti anche speciali. Consiglio di rimettere la vite al centro del progetto enoico e
di depurarci da tutte le tossine burocratiche e dalle sclerosi provocate di chi insegna dai salotti ma non frequenta i vigneti.
– Da ingegnere a produttore, quante volte si è pentito?
Sono nato a Bastardo e sono tornato in un mondo meraviglioso consapevole che attraverso un’onesta ricerca si può migliorare la vita
dell’uomo. Sono pentito per quello che ho trovato: un mondo che vive di ricordi e di presunte nobiltà araldiche che impediscono a tutti di
attraversare il confine del nuovo millennio mentre siamo già nel 2023.
– Ama la musica, se il suo vino fosse musica, quale genere sarebbe?
Un lento appassionato che asseconda il tempo e stimola ogni emozione.
– Il vino è terroir ma anche emozione, cultura; un racconto e incontri. Si fa abbastanza?
Il prologo della domanda è entusiasmante. Prima di rispondere dobbiamo però domandarci se un prodotto della natura soggetto al variegato
clima e meteo europeo possa essere omologato da una direttiva comunitaria scritta a Bruxelles, valida da Stoccolma a Cipro, recepita
con disciplinari scritti Roma ed imposti da Aosta a Trapani. Qualcuno ha coscienza della diversità che esiste tra i sedimenti lacustri di
Bastardo e quelli di Montefalco? In pochi chilometri la natura cambia le emozioni, la cultura e gli incontri, poi, dipendono dalle esperienze soggettive ed è avvilente che pochi vogliano omologare anche questi sentimenti. In Francia due vigneron che coltivano vigneti confinanti producono vini diversi nel rispetto delle loro diversità. –Insiste – ed è stato conseguente – nel Sagrantino non solo come vino ma per impieghi diversi. Come sta andando? Sono entusiasta e soddisfatto delle mie scelte fatte su base scientifica e proseguo i miei studi. Quando la democrazia riprenderà il suo corso, questo territorio potrà moltiplicare i livelli occupazionali grazie a questo grande dono che il buon Dio ci ha dato: l’uva di Sagrantino. Non mi illudo di poter lavorare in pace, non ho paura, ma spero di trovare giovani interessati a proseguire verso prodotti per il Terzo millennio. Sono sempre disponibile a condividere con loro ogni mio risultato e attività.