Da Narni a New York col ciliegiolo
Premiato dalle guide Una storia che parte da zero: “Figlio di operai, ecco il mio aristocratico vino contadino”
Leonardo Bussoletti, vignaiolo in Narni La sua azienda nasce nel 2008, ora è una eccellenza. Così lo vede il disegnatore Roberto Sansoni
E’ ciliegiolo e non barolo. Ma è una delle più grandi bottiglie al mondo. Leonardo Bussoletti il vino ha cominciato a farlo in un garage di Narni.
Una etichetta che racconta l’Umbria con un vitigno considerato (a torto) di serie B e che piace fino agli States.
– Dalla cantina di casa a un vino apprezzato a New York: Leonardo Bussoletti, sfida vinta in pochi anni?
Più che una sfida era un sogno, quello di porre all’attenzione di
uno dei mercati più importanti ed influenti del mondo un vitigno straordinario per caratteristiche quale è il ciliegiolo ed il territorio dove viene coltivato.
– L’ultimo riconoscimento (guida dell’Espresso) premia
il ciliegiolo (il suo) come il miglior vino da uve autoctone. Che effetto fa?
Grande emozione. Nel mondo del vino non si può dire mai di
essere arrivati, c’è sempre da imparare e migliorare. Questo
riconoscimento attesta che siamo sulla strada giusta e ci spinge a fare sempre meglio.
– Ci sono dei pregiudizi, secondo lei, su questo vitigno e c’è un segreto per trasformarlo in bottiglie di successo?
Devo dire che i pregiudizi c’erano forse 20 anni fa. Quando ho iniziato a produrre, anche i miei amici mi prendevano in giro per aver puntato su questo vitigno. Oggi è diverso: c’è un grande interesse intorno al ciliegiolo, una delle varietà più piantate in Toscana e il segreto è credere in quello che si fa con serietà e rispetto del vitigno e del territorio.
– La piccola Umbria del vino che carta deve giocare per farsi conoscere nell’era della globalizzazione?
L’Umbria sta dimostrando di essere un grande territorio vitivinicolo, ci sono zone che già da anni producono vini di eccellenza mondiale vedi Montefalco, Torgiano ed Orvieto. Dobbiamo porre
continua attenzione alla promozione dell’Umbria vitivinicola come territorio di eccellenza produttiva italiana e fare sinergia tra le aziende.
– Frontiera dell’enoturismo, lei cosa ne pensa?
L’enoturismo è uno dei veicoli fondamentali del nostro territorio e di conseguenza del fatturato di ogni azienda. Vale in Italia 2,5 miliardi e movimenta 14 milioni di persone, cresce ogni anno:
bisogna puntare sulla qualità dell’offerta legata al territorio.
– Ha sostenuto progetti di recupero di opere d’arte nel suo territorio. Lo fa perché non si vive di solo vino (inteso come imprenditoria), perché territorio significa non solo bottiglia, per amore dei suoi luoghi o che altro?
La mia azienda è sempre stata legata al territorio, amo la terra dove sono nato, il mio pensiero è stato sempre quello che se il territorio mi ha dato tanto qualcosa vorrei lasciare alla comunità.
Il progetto “ciliegiolo for art” è stato centrale, aver restaurato le cantine del chiostro di Sant’Agostino che oggi ospitano tutte le vecchie annate dei miei vini e nello stesso tempo restaurare con il contributo di una etichetta dedicata (lo 05035) i dipinti su intonaco presenti nel chiostro è sicuramente uno dei progetti che mi ha reso più felice.
– Da sconosciuto, partito da zero, a eccellente: percorso emozionante, ma c’è qualcosa che non rifarebbe o farebbe meglio?
Rifarei esattamente tutto. Vengo da una famiglia semplice di operai, ho costruito tutto da zero con un’unica idea: “il ciliegiolo”.
Un piccolo rimpianto forse sì, ce l’ho: non aver iniziato rima.
– Ci dica un motivo valido per bere il ciliegiolo. Di motivi ce ne sono tanti: è un vino moderno, versatile, di grande bevitabilità.
Ma tutti racchiusi in quello che è il mio motto: “il ciliegiolo, un aristocratico vino contadino”.