La pasta è un alimento tipico italiano, ma non è nato da noi. Pare fosse conosciuto già dai Greci, poi messo da parte al tempo dell’Impero romano, ma rispolverato dagli Arabi e dai Cinesi. Soltanto da qualche secolo, però, si è imparato a condirla con il pomodoro e ad assaporarla.
Dicono altri che la pasta sia stata inventata dai cinesi e portata in Europa da Marco Polo nel 1295. Di certo c’è che nei primi millenni a.C. si abbiano notizie solo dell’esistenza del pane e delle focacce cotte su pietre roventi o in forni antichi.
Nella civiltà persiana in quella greca si hanno le prime notizie di questo alimento, principe della dieta mediterranea oggi. Il primo a parlarne, nel V secolo a.C., è il commediografo Aristofane, che descrive in una delle sue commedia una pasta tipo i ravioli.
Tracce dell’uso della pasta le troviamo con gli Etruschi: in una tomba di Cerveteri, più precisamente, sono conservati utensili utilizzati per preparare i ravioli.
Durante l’epoca romana, si parla spesso di lagane, strisce di pasta più o meno larghe spesso farcite con verdure. Le cita Orazio, così come Terenzio Varrone, nel I secolo a.C., poi Apicio nel I secolo d.C. Apicio era un famoso e antico compilatore di ricette.
La pasta, dopo una lunga assenza dovuta forse al crollo dell’economia, ricomparve nel IX secolo in Africa settentrionale, sotto l’influsso arabo, nella veste di pasta secca. La pasta fresca è rimasta però la più prodotta, almeno fino al XIX secolo, quando diventò un prodotto industriale da conservare a lungo. Gli Arabi portarono la pasta in Sicilia. A Travia località vicina a Palermo, lo storico arabo al-Idrisi, nel 1.154, parla dei tanti mulini presenti e dei pastai che realizzavano pasta a forma di fili (tria), forse gli antenati degli spaghetti. Già sul finire del XII secolo, quella della pasta era diventata una vera e propria industria. Arrivavano navi cariche di pasta nell’Italia meridionale, in Sardegna, nell’alto Tirreno e in Provenza, tutte partite dalla Sicilia.
Nel XIV secolo si ha testimonianza di pastifici a Genova. Fino al Cinquecento la diffusione della pasta non attecchì tra le classi povere a causa del gran costo. Nel XVII secolo, diffondendosi la gramola, strumento in grado di rendere morbida e omogenea la pasta, i prezzi diventarono accessibili e il consumo di pasta aumentò. Poi venne inventato anche il torchio meccanico. Tanti i pastifici che nacquero nel Napoletano.
La grande rivoluzione è però della prima metà dei Seicento. Sotto il dominio spagnolo, a Napoli, arrivarono i pomodori. All’inizio utilizzati solo come piante ornamentali – si pensava che i loro frutti fossero velenosi – successivamente abbinati alla pasta. Tanto che la pasta al pomodoro diventò il piatto base delle popolazioni in condizioni difficili, grazie al suo prezzo basso. I nobili per un po’ storsero ancora il naso, anche perché per lungo tempo la pasta venne mangiata con le mani e venduta agli angoli della strada.
La pasta era servita per pochi soldi su pezzi di carta e mangiata per strada. Con l’invenzione della forchetta, agli inizi del Settecento, anche i nobili si avvicinarono a questo piatto. Pare che a trasformare quella che prima era solo a due rebbi in vera e propria forchetta fu Gennaro Spadaccini, ciambellano alla corte napoletana.
Oggi l’area storica della pasta resta quella napoletana, ma ci sono grandi aziende produttrici in Emilia Romagna e nel Centro Sud. La tradizione secolare ligure si è persa nel tempo, oggi c’è solo un importante centro produttivo a Imperia. Gli italiani sono stati identificati e vengono identificati come mangiatori di pasta, volgarmente macaroni, come sono stati chiamati migliaia di emigranti nostrani nel mondo.
In realtà, la pasta è uno degli alimenti più importanti della dieta mediterranea, fa bene alla salute infatti.
Basta non abbuffarsi.
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